Veronica Yoko Plebani La prima donna a cimentarsi in tre discipline sportive diverse in tre edizioni di Giochi Olimpici. Dopo l’esperienza di Sochi 2014 nello snowboard e quella di Rio 2016 nella paracanoa, Veronica Yoko Plebani vince la sua prima medaglia olimpica a Tokyo, un bronzo che sa quasi di vittoria. Le abbiamo fatto qualche domanda per conoscerla meglio.

Veronica Yoko Plebani La prima donna a cimentarsi in tre discipline sportive diverse in tre edizioni di Giochi Olimpici. Dopo l’esperienza di Sochi 2014 nello snowboard e quella di Rio 2016 nella paracanoa, Veronica Yoko Plebani vince la sua prima medaglia olimpica a Tokyo, un bronzo che sa quasi di vittoria. Le abbiamo fatto qualche domanda per conoscerla meglio.

Foto credits: Alberto Dedè e Bruno Pulci

Ciao Veronica, o dobbiamo chiamarti Yoko…

Certo, quello è il mio nome, che non è un nickname come molti credono: mia madre, innamorata della cultura giapponese e buddista, ha voluto chiamarmi Yoko che significa bambina solare e allegra. È il nome che si dà alle bambine giapponesi che nascono a marzo.

Raccontaci i tuoi 25 anni, compiuti da poco

Beh, non facile sintetizzare un quarto di secolo in poche parole, però possiamo dire che fino a dieci anni fa ero una ragazza come tante altre, con una moderata passione sportiva.

Poi nel 2011 sono stata colpita improvvisamente da una forma di meningite batterica fulminante, e da lì è iniziata una nuova vita, non certo facile, ma che ha trovato nello sport una ragione per andare avanti: è stato il modo per riprendere in mano la mia esistenza. Come? Abito vicino a un fiume, e non molto distante da casa mia c’è il Kayak Canoa Club Palazzolo e così ho iniziato a praticare canoa: diciamo che è stata una rivelazione per me. Ho ritrovato un po’ la mia indipendenza e l’autostima nei confronti di un corpo e di un percorso di vita molto diverso dalle aspettative di una ragazza di 15 anni. Da lì ho capito che quello successo nel 2011 è stata una sorta di acceleratore che mi ha portato ad avere più fame di vita.

Tre anni più tardi arrivano i titoli mondiali ed europei nella canoa, e non solo lì.

Sì, all’esperienza agonistica nella paracanoa ho aggiunto una “vecchia” conoscenza, lo snowboard, disciplina che praticavo già da bambina. Allenamento dopo allenamento mi sono ritrovata alle Paraolimpiadi di Sochi nel 2014, un’esperienza per me incredibile.

Dividendomi tra la canoa d’estate e la neve d’inverno ho trovato un po’ la mia dimensione, anche se non sempre con facilità, perché ho continuato a vivere i miei sbalzi umorali dettati da questo cambiamento arrivato così improvviso. Ma per fortuna ho due genitori pazzeschi che, in ruoli diversi, mi hanno sempre aiutato a guardare avanti con energia e positività.

Foto credits: Marco Bardella

Ma non sazia hai trovato un’altra disciplina dove misurarti.

Nei giorni delle Paralimpiadi a Rio, causalmente ho assistito a una gara di triathlon e da lì è stato amore a prima vista, anche perché sentivo la necessità di avere nuovi stimoli. All’inizio c’era la preoccupazione della corsa, il mio punto debole, considera che non avevo mai corso nemmeno un chilometro! Ricordo che chiedevo in mensa a Rio agli atleti informazioni sulle distanze, le regole, i meccanismi, e poi quando sono rientrata in Italia, persino mio padre era scettico sul fatto che potessi praticare questa disciplina, ma alla fine ho vinto io. Ed eccomi qua.

Il triathlon cosa rappresenta per te?

Innanzitutto è una nuova sfida, una sfida che mi piace perché comporta diversi sforzi e nuove esperienze. E se proprio devo scegliere, tra le tre frazioni quella di ciclismo è la mia preferita: in bici mi trovo bene, e mi diverto un sacco, mi sento libera. Delle due ruote mi attira l’idea dello spazio, il fatto che posso fare dei giri lunghi, che posso pedalare per chilometri. E lo posso fare con altre persone, con gli amici così come con i compagni di squadra a cui mostro con orgoglio la mia Trek Madone: una super bicicletta! E confesso che avere una bici così è anche emozionante per quello che rappresenta e per la fiducia che l’azienda ha riposto in me. Quando penso a Trek, mi viene in mente un’azienda che fa tanto nel ciclismo, e che investe parecchio nella ricerca tecnologica: mi sento molto fortunata nel poter godere di tutta questa evoluzione.

Foto credits: Federazione italiana triathlon - Tiziano Ballabio

Nelle paralimpiadi appena trascorse ti abbiamo vista conquistare un bronzo che ha fatto emozionare te ma anche tutti quelli che ti stavano guardando da casa. Quanto è stato speciale riuscire a conquistare questa medaglia?

Beh conquistare questa medaglia è stato un sogno a occhi aperti e la mia gioia sulla linea di traguardo penso che lo abbia fatto percepire a tutti. La mia preparazione è stata ricca di alti e bassi ma in ogni caso prima della partenza mi sentivo carica e pronta a consumare tutta la mia energia, la gara mi ha messa veramente alla prova presentandomi diversi ostacoli (come se il triathlon non fosse già abbastanza complicato) e forse proprio per questo quella medaglia di bronzo è stata una conquista così grande.

Incredibilmente, anche senza il pubblico, ero molto emozionata e motivata al pensiero di tutti i tifosi che mi seguivano e supportavano da casa. L’ultimo giro di corsa è stato un crescendo di gioia sapendo di aver ormai conquistato la medaglia, una gioia che poi è esplosa dentro e fuori di me sul rettilineo d’arrivo vedendo il mio direttore tecnico Mattia Cambi che mi passava la bandiera italiana.

Con 30k follower su Facebook e 70,6k su Instagram, sei una vera influencer dei social. Cosa vuol dire per te essere un punto di riferimento per migliaia di persone?

È una cosa strana, però a volte ho delle sensazioni straordinarie. Ho deciso di mostrarmi per quella che sono, con tutte le mie cicatrici, il mio vissuto, e le persone apprezzano la mia trasparenza. Poco tempo fa mi ha scritto una mamma dall’Australia: ha una bambina di sei anni affetta dalla mia stessa malattia che si rifiutava di andare a scuola perché si vergognava dei tutori e delle scarpette che erano diverse da quelle delle compagne. Mi ha scritto che le ha mostrato quello che faccio io, le ha detto che ha i miei stessi tutori e da allora la bambina si è entusiasmata e ora mostra alle amichette le mie foto. Questo è solo uno dei tanti episodi che potrei raccontare: non c’è una formula di successo, c’è solo la mia naturalezza nel raccontarmi per quello che sono, e il sapere che questo può essere di ispirazione per altri. Perché dalle difficoltà può sempre nascere qualcosa di straordinario, basta non smettere mai di crederci.

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