Dario Cataldo Dopo la terribile caduta al giro di Catalogna, abbiamo scambiato due parole con Dario. Per voi, ecco un’esclusiva intervista.

Dario Cataldo Dopo la terribile caduta al giro di Catalogna, abbiamo scambiato due parole con Dario. Per voi, ecco un’esclusiva intervista.

Ciao Dario, innanzitutto, come stai?

Direi bene. Anche se mi sarebbe piaciuto essere in un’altra condizione per poter preparare il Giro d’Italia con i miei compagni. Ma dato ciò che è accaduto, posso ritenermi contento di essere ancora tutto intero, o quasi.

 

Oltre al fisico che deve riprendersi, c’è anche la componente psicologica. Passare dal pieno ritmo di allenamenti quotidiane e gare, al dover forzatamente restare fermo. Come passi le tue giornate ora, in attesa di riprenderti del tutto?

Per un atleta in generale è davvero difficile stare fermo, perché senti l’esigenza di muoverti. Al momento però devo cercare di essere il più possibile paziente e calmo, ascoltando i consigli dei medici. Per il resto cerco di occupare il tempo facendo le cose che mi piace fare a casa. Per esempio sto ricominciando a disegnare, attività che ho sempre amato anche se per forza di cose negli ultimi anni avevo un po’ abbandonato.

 

Ti ricordi cosa è accaduto alla Volta a Catalunya? In che modo è avvenuta la caduta?

Della caduta ricordo tutta la dinamica e tutto ciò che è accaduto negli attimi successivi, quando sono sopraggiunti i soccorsi. I primi momenti in cui non riuscivo a respirare sono stati abbastanza drammatici ed ho avuto paura, ma ho cercato sempre di essere il più razionale possibile nel non muovermi e rischiare di fare ulteriori danni rispetto a quanto già mi era successo. In quegli istanti ho soltanto incrociato le dita nella speranza di non aver riportato danni permanenti al mio corpo.

 

Mancherai purtroppo al Giro d’Italia, che peraltro parte dal “tuo” Abruzzo. Immaginiamo il tuo sentimento. Ci racconti un po’ del tuo legame con la corsa rosa?

Ci sono vari motivi per cui sono davvero dispiaciuto di non essere al via del prossimo Giro d’Italia. Uno di questi motivi è che abbiamo grosse speranze date dalla presenza di Pedersen e di un team molto affiatato. La seconda cosa è che dopo 17 anni di professionismo e 25 Grandi Giri a cui ho partecipato, finalmente il Giro d’Italia partiva dall’Abruzzo e in particolare da quel tratto di costa che sento particolarmente mio. Sarebbe stata la ciliegina sulla torta sul finire di una carriera, ma questo incidente ha un po’ rovinato tutti i piani. Cerco di non pensarci troppo, e sicuramente sarò lì presente per fare il tifo per i miei compagni.

 

 

 

Ripercorriamo i tuoi ultimi due anni con la Trek-Segafredo. Come è stato entrare in questo nuovo mondo?

Potrei dire che è stata una sorpresa sotto tanti punti di vista. Lo staff, i compagni di squadra, il Team femminile, e anche il management: non avevo mai visto uno sponsor così presente. Si dice spesso che sembra di stare in una famiglia, ma in questo caso è veramente una famiglia allargata tra corridori, staff e sponsor che ci rende partecipi anche di esperienze incredibili come la riunione di inizio anno nella sede americana di Trek a Waterloo, Wisconsin.

 

Sei stato preso dal Team come uomo d’esperienza, dati i tuoi tanti anni di professionismo al servizio di grandissimi campioni. Quali sono i momenti che ricordi con più piacere dei tuoi anni nel mondo del ciclismo?

Sono stati tanti anni, tanti momenti, tanti flash. Dai momenti di soddisfazione personali, per esempio la tappa del Giro d’Italia 2019, a momenti di gioia condivisi con compagni di squadra che ci hanno fatto unire in modo indissolubile. Quandi vivi il ciclismo vero, è difficile riassumere e scegliere, anche perché nel conto ci sono anche tanti momenti duri. Quando smetterò di correre mi mancherà sicuramente il ciclismo, posso solo dire di essere orgoglioso del percorso che ho fatto fino a qui.

 

Hai dei rimpianti sulla tua carriera? Un momento che vorresti rivivere per giocartelo diversamente?

Sì, decisamente. Specialmente i primi anni di carriera, quando avevo la possibilità di fare classifica nei Grandi Giri ma ho dovuto un po’ arrangiarmi. Non avevo l’esperienza e non avevo i consigli adatti che mi sarebbe piaciuto avere… È per questo che quando mi trovo con i ragazzi più giovani cerco di trasmettere tutto quello che posso, perché è veramente prezioso.

 

Quest’inverno per allenarti hai utilizzato anche una mountain bike. È un mondo che ti affascina?

Sì, tantissimo. La mountain bike dovrebbe essere maggiormente integrata nell’allenamento di un qualsiasi corridore, perché riesce a far sviluppare delle qualità molto importanti. Infatti questo vantaggio si può vedere anche nei corridori che in inverno fanno ciclocross. Inoltre per me è un modo per divertirmi: continuerò sicuramente a praticare mountain bike anche quando smetterò la mia attività da corridore. Mi auguro veramente che le nuove generazioni capiscano che è importante allenarsi anche in questa disciplina.

 

E ora? Come lo vedi il tuo futuro prossimo?

Il mio futuro prossimo sarà una lunga riabilitazione, con l’obiettivo di rimettermi in sesto e tornare in sella il prima possibile. Ho davvero una gran voglia di tornare a muovermi, e di riprendere a fare ciò che ho sempre amato fare: pedalare con la mia bici. Sperando di riuscire a tornare sui livelli che mi competono, questo è sicuramente ciò che voglio fare.

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